Processo Creativo

Oltre il feticismo del marchio come esibizione di potere economico.
Fin da ragazzi, nel solco di una centenaria esperienza familiare, abbiamo inteso il processo artigiano, e artistico, come atto creativo capace di infondere vita all’oggetto d’uso. In questo senso, il manufatto rivela un autore riconoscibile, perché linea, forma e colore generano un’emozione convogliata dai sensi, danno vita all’oggetto che rimane legato al creatore (e al designer) in una relazione affettiva.
Il virtuosismo tecnico – qualunque soluzione alternativa che assecondi la tendenza, incoraggiando il gusto di massa – non potrà mai sostituire il movimento necessario all’atto creativo: “vedere” una cosa dentro di sé e farla vedere al destinatario, in una sorta di epifania.
La tecnica, cioè, può solo testimoniare l’amore con cui un lavoro viene eseguito, la cura, la sapienza artigiana.

Il processo creativo travalica la tecnica, perché presuppone un inesauribile desiderio di ispirazione, cerca continuamente l’anima delle cose, degli eventi, che si rivela a chi resta in ascolto nelle zone di soglia, di attesa, più vere del vero. È un flusso molto primitivo, e per questo funziona bene.
Non si può fare moda ricalcata su altra moda: ogni designer deve risalire al processo originario, ripercorrere la strada dei maestri e, con umiltà, lavorare sodo per emulare, più ancora che i loro straordinari risultati, la loro inesausta ricerca.
Per questa ragione, nel lavoro di bottega, nel trasferimento del sapere (e del saper fare) è necessario essere autentici. E restituire autenticità a chi poi sceglierà l’oggetto prodotto. Il piacere di custodire (o esibire) un oggetto profondamente amato (da chi lo ha generato e da chi lo ha scelto per sé) è un argine o un’ancora, dentro una corrente fin troppo trascinante che mastica ogni differenza per livellarla verso il basso, verso il consumo compulsivo “usa e getta”.
La nostra ricerca di una dimensione estetica della realtà rimanda a una filosofia che non può essere puro edonismo. Benché si attui attraversi i sensi, essa riesce ad andare oltre perché consapevole della transitorietà e, dunque, del valore di ogni esperienza, di ogni oggetto, della sua e della nostra unicità.
In questa chiave, la moda diviene Arte Applicata: come un dipinto, una scultura, essa “fotografa” l’immateriale e lo rende “pop”, perché ognuno abbia diritto al suo pezzetto di contemplazione.
Catturare un certo stato d’animo, infonderlo a un oggetto fatto di materiali solidi e destinato a un uso funzionale: ecco la sfida progettuale sempre interessante, ecco il “gioco” cui non possiamo rinunciare (il “facciamo che tu eri” del bambino che è in noi), che contagia con un sorriso chi decide di prendervi parte, semplicemente scegliendo per sé un oggetto, una borsa, un gioiello, un foulard.
E il gioco di IDEM comincia sempre osservando con sguardo mai stanco la bellezza senza tempo del mondo mediterraneo, crocevia di storie, di popoli, di culture. Certi luoghi infiniti, densi di vita… certi fiori, certe rocce, certe case, certi mestieri, certi suoni avvolti nella luce liquida del Mediterraneo: i sensi li assimilano, li trasfigurano e li ricompongono in piccoli manufatti, strani ma domestici, che ne ripropongono le impressioni ma sono completamente nuovi.
Una danza senza tempo e sempre nuova.